Prefazione
di Pino Pecchia
Questo nuovo lavoro di Davide Manzi, non a caso, vede la luce alla fine del 2011, anno in cui l’Italia è impegnata nelle celebrazioni dei 150 anni della sua Unità.
Non sempre le rievocazioni sono state univoche, specie nel sud d’Italia, poiché il fenomeno del Brigantaggio, raramente narrato nella sua tragica verità, ha generato dei distinguo.
L’autore, seppur giovane, tra il narrativo e il fumetto, illustra quegli eventi in un’ottica diversa dalle celebrazioni programmate. Tra le pieghe delle tavole di storia locale è incline a riconsiderare le interpretazioni, pur consolidate, degli avvenimenti storici nazionali con un atteggiamento critico nei confronti di quanti descrissero il Risorgimento.
Racconta come, tra il 1860 e il 1870, il fenomeno del brigantaggio si sviluppò e assunse diversi aspetti: fu dapprima legittimista, poi sociale, caratterizzandosi come delinquenza comune.
Questi aspetti sono oggi valutati da una minoranza che, in questi ultimi anni, tramite approfondite ricerche, ha voluto togliere dalla polvere e dall’oblio le storie dei protagonisti del brigantaggio post-unitario.
Manzi, quindi, si inserisce in quel gruppo di autori impegnati a rileggere diversamente le vicende risorgimentali del sud d’Italia. E lo fa con crudezza, nel rispetto delle fonti e con la criticità di chi non si è accontentato dei libri di scuola, ma cerca di far luce su vicende non raccontate dalla storiografia ufficiale.
Riporta l’intero dispositivo della famigerata legge Pica, portatrice di norme speciali, che avvilirono le popolazioni del meridione. È vero che fu debellato il fenomeno, ma è vero anche, come dimostra l’autore, che causò la morte di migliaia di innocenti.
L’identità negativa del brigantaggio ha prevalso nella letteratura e tra gli storici. Questi hanno deformato l’immagine di un Mezzogiorno popolato da una “razza” inferiore di uomini, come si evidenzia tra immagini e commento, a volte con tragico umorismo, parlando del Lombroso.
La matita dell’artista sorprende felicemente quando usa le sembianze di personaggi del comprensorio, che assumono le vesti di coloro di cui va narrando. E qui le capacità artistiche del Manzi si esaltano, uscendo dal “fumetto” tradizionale, motivo conduttore dell’opera; egli esprime la vena felice del ritrattista, grazie alla meticolosa interpretazione grafica dei personaggi.
Un risultato positivo, insomma: tavole drammatiche per il loro realismo, espressioni che suscitano emozioni e, a volte, ilarità.
Grazie al felice momento del “fumetto”, che in Italia vanta talenti di fama internazionale, l’impegno di Davide Manzi, autore di quattro opere similari, è apprezzabile; trovo positivo, sotto l’aspetto divulgativo, il suo intento di fare storia attraverso una forma così fruibile e coinvolgente.
Quel numero uno, che campeggia sotto il titolo Storia di santi e di briganti, lascia intendere la volontà dell’artista di continuare a raccontare il difficile periodo storico, che coinvolse in modo drammatico i nostri antenati.
Non poteva mancare un riferimento a Michele Pezza, suo conterraneo. Una lettura del personaggio in chiave diversa da quella tradizionale, ribaltata, come egli precisa, da ricerche di autori impegnati a rivalutare il guerrigliero di Itri. Purtroppo considerato dalla storiografia un brigante, invero, generoso e leale capo di insorgenti di Terra di Lavoro, che contrastarono l’esercito rivoluzionario francese nel 1799 e da questi chiamati “brigands”, ma quella è un’altra storia: ancora tutta da raccontare!
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